martedì 17 giugno 2014

la prima lezione di scuola


 

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La prima lezione di scuola

 

 Nella quarta conferenza di “Arte dell’educazione II, Didattica,  Rudolf Steiner dà delle indicazioni chiare sulla prima ora di scuola, quella dell’ingresso del bambino  alle elementari.

Anche se egli si esprime dicendo che “naturalmente può dare solo alcune indicazioni generali”, questo passo tuttavia appartiene senza dubbio a quel gruppo di pochi in cui Steiner fornisce tracce precise ai maestri, alla cui libertà, compenetrata di Fantasia, di Verità e di animico senso di Responsabilità, generalmente invece, lascia l’approfondimento e la rielaborazione dei temi pedagogici, didattici e metodologici da lui individuati.

 Qui, infatti, occorre molta attenzione: l’esperienza vissuta dal bambino che varca la soglia di un passaggio quale per lui non ve ne saranno più altri uguali è così delicata e intensa da poter avere ripercussioni per tutta la vita. Il complesso di emozioni che vive nell’animo del bambino richiede una dedizione del tutto particolare da parte del maestro. In queste prime ore di scuola, il bambino, non solo deve essere accolto con amore, rassicurato e introdotto alla gioia dell’apprendere, ma deve anche ricevere impressioni che destino in lui venerazione e rispetto verso la conoscenza e la cultura.

“Nessun insegnamento segue la giusta corrente se non accompagnato da una certa devozione verso la generazione precedente.”. (“Arte dell’educazione II, Didattica, conferenza del 25 agosto 1919, Stoccarda).

 

 Chi ha esperienza di vari tipi di realtà scolastiche può ben comprendere questo punto essenziale dell’intera azione pedagogica: al suo occhio abituato a rilevare le connessioni tra i diversi comportamenti dei bambini e l’azione pedagogica su di essi svolta, non sfugge il grande divario esistente tra quelli che conservano nella loro interiorità tale rispetto e quelli che invece l’hanno perduto. L’entità e il valore delle conseguenze di questa perdita variano di grado secondo i casi; esse non soltanto si ripercuotono sulla vita individuale ma anche determinano il modo in cui alcuni gruppi umani nella società si pongono nei confronti dei propri impegni e nei confronti di una interpretazione dei fatti del mondo.  I bambini cui è mancato da parte delle persone preposte alla loro educazione il sostegno relativo al mantenimento in essi del rispetto verso la cultura e verso il passato, nonostante l’errore umano, diventano poi adulti, come spesso se ne incontrano, i quali, malgrado le loro potenziali belle qualità, indulgono facilmente nel giudizio, spesso viziato dal “pregiudizio” e non sono né abituati né disposti a caratterizzare i fatti, quando non cadono in una sorte di disperante deserto interiore o di aggressivo dubitare  su qualsiasi cosa, tutto denigrando, tutto demolendo.

Una donna come Alda Merini, che poté attingere, in virtù della sua”veggenza poetica”,  alle zone del Vero, scrive:

 

A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose. ….

 

 

Steiner dice:

 

 “Nessun insegnamento segue la giusta corrente se non accompagnato da una certa devozione verso la generazione precedente. Per quanto questo sentimento debba restare appena accennato, deve però essere coltivato nel bambino con ogni mezzo, in modo che egli guardi con rispetto, con stima a ciò che le generazioni passate  hanno già conquistato, e che egli pure deve conquistarsi per mezzo della scuola.”.

(“Arte dell’educazione II, Didattica, conferenza del 25 agosto 1919, Stoccarda).

 

E’ di “straordinaria importanza”, dice Steiner nella citata conferenza, ciò che i bambini sperimentano durante questo primo approccio con la scuola. Ogni inizio, quello di ogni anno scolastico, quello di un nuovo insegnamento, quello di un’epoca (ricordiamo qui che nelle scuole Waldorf l’insegnamento avviene per epoche) è importante, ma queste prime ore di tutta la “carriera scolastica” di un bambino sono decisive per l’intero corso di studi e per la vita stessa.

Ai bambini che vengono accolti in classe, ad un dato momento, si chiede: sapete voi perché siete venuti a scuola? Ne segue una bel ventaglio di risposte: qualcuno timidamente tace, qualcuno non sa e sorridendo si guarda intorno, qualcun altro è già stato “informato”da adulti e ripete ciò che gli è stato detto, magari con fare saputo e persino un po’ di sussiego o con grande entusiasmo sostenuto da altrettanti grandi speranze, altri sono ancora imprigionati nella loro gabbia di paura e di sospetto e continuano a chiedersi dove mai siano stati condotti dai loro genitori, chi poi ha fratelli e sorelle più grandi si comporta come vero esperto del caso… Non mancano i casi di bimbetti che rispondono dicendo di essere venuti a scuola per fare il pompiere o il domatore di tigri o  il dottore come papà o qualcos’altro come la mamma…Qualcuno ha già un sogno nel cassetto.

Nel complesso l’aspettativa è grandissima in ogni caso.

 E’ giunto il momento.

Il maestro dice: “ Voi dunque siete venuti a scuola, e io vi voglio dire perché siete venuti.

Voi siete venuti a scuola perché dovete imparare alcune cose. Oggi non potete ancora avere l’idea di tutto ciò che dovrete imparare a scuola, ma dovrete imparare davvero molte cose. E perché le dovrete imparare? Ecco, voi conoscete gli adulti, i grandi, e avete visto che essi sanno fare tante cose che voi non siete ancora capaci di fare. E siete qui proprio per imparare a fare quello che fanno i grandi. Un giorno saprete fare quello di cui ora non siete ancora capaci .”. (“Arte dell’educazione II, Didattica, conferenza del 25 agosto 1919, Stoccarda).

 Poi  si aggiunge: “Vedi, i grandi hanno dei libri e sanno leggere; tu non sai ancora leggere, ma imparerai; e quando saprai farlo potrai prendere in mano anche tu i libri e imparare da essi quello che anche i grandi hanno imparato. I grandi sanno anche scrivere delle lettere, possono fare annotazioni a proposito di ogni cosa. Un giorno anche tu saprai scrivere delle lettere, perché imparerai non soltanto a leggere ma anche a scrivere. E oltre che leggere e scrivere, i grandi sanno anche far di conto. … Anche tu imparerai a contare.” .”. (“Arte dell’educazione II, Didattica, conferenza del 25 agosto 1919, Stoccarda).

Questo discorso si può anche ampliare e far sentire ai bambini l’importanza e la bellezza delle cose che impareranno e che già i grandi sanno fare. E’ da evidenziare che Steiner, come si può rilevare dalle parole qui riportate, fa convergere l’attenzione dei bambini su due elementi intimamente connessi tra loro: la conoscenza e l’acquisizione di abilità.

 Egli poi aggiunge che questo discorso va ripetuto nei giorni seguenti varie volte, poiché è bene nell’insegnamento portare sempre a coscienza quello che si fa. Un grado di coscienza, certo, relativo alla situazione: ossia all’età del bambino e a quello che fa.

Qui si può ben vedere come un insegnamento che non vuol limitarsi ad istruire il bambino basandosi su una gran quantità di nozioni, ma vuole condurlo a prendere gradualmente coscienza delle esperienze conoscitive e della crescita delle proprie abilità, richiede quanto già detto nei file precedenti: ossia una scelta di argomenti e di modi nel presentarli che si adegui alle varie fasi di sviluppo del bambino.

Dopo si passa ad altro e si dice: “Osserva un po’ te stesso; tu hai due mani, la destra e la sinistra, e le hai per lavorare; con queste mani puoi fare di tutto:”. Si cerca dunque di portare a coscienza ciò che un uomo è. Il bambino non deve limitarsi a sapere di avere due mani, ma deve diventare cosciente di averle.”.

.”. (“Arte dell’educazione II, Didattica, conferenza del 25 agosto 1919, Stoccarda).

 

E’ molto bello, poi, dopo questo piccolo discorso, attirare l’attenzione dei bambini sulle mani, recitando insieme con loro una filastrocca e parlando delle tante e varie cose che si fanno con le mani. Allora essi stessi, solitamente, parlano delle mani della mamma che accarezzano, lavano, preparano le cose buone da mangiare… e poi parlano di se stessi, dei giochi in cui usano le mani… e… secondo le esperienze che ciascuno ha, ricordano tante cose: con le mani si suona il pianoforte, si raccolgono i fiori, si disegna, ecc… qualcuno racconta di quando una volta ha seminato dei semini e poi nel vaso sono nati i fiori…

Questo parlare può  servire anche, se il maestro ha mano attenta e sensibile, a sciogliere i più timidi e a creare già le basi di una socialità nella classe.

 

Possono accadere poi, un giorno, cose come queste.

 

Dopo alcun tempo, in quarta classe, quando il programma prevede il primo studio del corpo umano e di zoologia, accade allora che qualcuno scriva in un suo elaborato qualcosa sulle mani, magari anche, come scrisse una bambina una volta: “come avrebbero potuto ritrovare la strada per il ritorno a casa Hansel e Gretel se non avessero potuto usare le loro mani per distribuire i chicchetti durante il cammino?”

 O dopo molti anni, ormai divenute a loro volta madri di bambini di scuola Waldorf, qualcuna delle ex allieve, improvvisamente, in chat, alla loro ex maestra: “ ( fa il nome di una sua ex compagna di scuola) …. e' diventata mamma di una splendida bambina:…. e sta sera sto lavorando a un vestitino per lei, un po' ai ferri e un po' all'uncinetto, viola e verde. Mentre vedo le mie mani lavorare mi tornano in mente le ore di lavoro manuale passate insieme e mi vieni in mente tu e noi... e nel cuore vive la riconoscenza...”

 

Poi, si passa alla prima lezione!

 Una lezione che richiede abilità manuale.

La linea retta verticale ! e la linea curva.

 

 

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Ed ecco finalmente la prima lezione!

Essa si svolge in un clima di intima religiosità: il maestro è il “sacerdote” di questo “culto” e ogni singolo bambino è esso stesso ministro della cerimonia. Il maestro, che per primo traccia con gesto, direi, solenne la linea retta verticale, fa scorrere lentamente il gesso sulla lavagna e il suo occhio guida la sua mano, come un capitano la sua nave. I bambini osservano in silenzio e nulla sfugge loro del gesto “sacro” compiuto dal maestro.

Essi poi, uno ad uno, vengono chiamati alla lavagna e disegnano lentamente, molto lentamente, ciascuno la propria linea verticale.

La si può, e solitamente si fa, far tracciare precedentemente col gesto della mano nell’aria davanti a sé. Se ne parla, infatti, prima del disegno, nei modi che ciascun maestro sceglie per il gruppo di bambini che ha di fronte. Il maestro poi aiuta il bambino a compiere il gesto mentre anche questo guida con l’occhio la sua mano. E’ incredibile quanto silenzio regni nell’aula! Incredibile come ciascun bambino compia il suo “rito” senza che nessun altro dei compagni si distragga!  E soprattutto con quale interiore partecipazione ciascuno disegni la sua linea retta verticale!

E’ come una comunione: il sacro gesto della verticalità è il centro di questa comunione.

Una volta, essendo la lavagna appesa alla parete dell’aula troppo in alto perché un bambino di sette anni vi potesse agevolmente disegnare, una maestra preparò in anticipo una pedana di legno, rivestita di moquette che, nel momento in cui toccò ai bambini cimentarsi nella prova del disegno alla lavagna della linea retta verticale, posizionò sotto la lavagna. Essi vi salirono uno per uno e veramente parve che si compisse una cerimonia sacra!

Sacro gesto della mano infatti è quello che, in un momento così

denso di emozioni ed aspettative, così decisivo per il futuro, delinea  una prima presa di coscienza della presenza di un Io in ogni essere, dandone un’ immagine col disegno della linea retta verticale!

Questa prima lezione, ché il discorso sulle mani è di preparazione, è paragonabile al gesto sacro della semina.

Il maestro dapprima e dopo ogni bambino, a turno, assumono quella “maestà sacerdotale” che D’annunzio nella sua poesia I seminatori dice hanno nel gesto i seminatori.

E infatti qui si semina: si getta il seme di un progresso evolutivo che dovrà dare i suoi frutti in un tempo posteriore.

Al disegno della linea retta verticale si fa poi seguire il disegno  della linea curva, seguendo le stesse modalità.

Concentrare l’attenzione dei bambini sulle mani e dopo sulla linea retta verticale è un destare in ciascun uomo in divenire un primo interiore impulso alla consapevolezza dei compiti che spettano all’uomo, in quanto portatore di un Io superiore e in quanto dotato di mani, con le quali può lavorare al bene del mondo.

Il lavoro manuale che ha tanta parte, per maschi e per femmine in grado uguale, nella scuola Waldorf, non è solo attività piacevole e rilassante o creativa e simile al gioco, ma è anche e soprattutto un far lavorare le mani in modo intelligente e sensato e Steiner tante volte mette l’accento sul fatto che nell’attività manuale risiede l’origine di un sano pensiero: sviluppare un sensato lavoro con le mani è sviluppare un sano pensare.  Famosa infatti la sua frase: chi volesse essere un filosofo, deve sapersi aggiustare un paio di stivali.

Per questo, le mani di un bambino non dovrebbero mai lavorare su cose senza senso, tanto per fare… ma soltanto su cose intelligenti e buone. Oggi i bambini usano molto le mani,  ma moltissime sono le cosette più o meno graziose che si fa loro fare e nessuna di queste è utile alla formazione di un sano pensiero!

 Non è l’agitare le mani, ma il muoverle con significato che fa la differenza!

Non a caso il primo gesto con le mani che Steiner indica ai maestri di far fare ai piccoli è proprio l’espressione dell’Io!!!

 L’espressione dell’incarnazione.

 Quando, infatti, il bambino, in quarta classe, affronterà lo studio di antropologia, e subito dopo di zoologia, e farà comparazioni tra l’uomo e gli animali, sarà condotto dal maestro ad osservare come persino animali come il castoro, il grande architetto, e molti altri, in cui gli arti si configurano in vario modo ma sempre secondo la Saggezza Divina, non posseggono la libertà. Allora quel “primo” discorso del “primo” giorno di scuola gli tornerà alla memoria: egli prenderà coscienza del fatto che la posizione verticale e l’uso delle mani sono in connesso tra loro. Gli apparirà manifesto, molto chiaramente manifesto, come l’animale, pur nella sua complessità e bellezza, resta legato alla posizione orizzontale e i suoi arti gli servono essenzialmente come mezzi di locomozione, o come mezzi per procurarsi ciò che serve alla sua sopravvivenza, configurati secondo l’habitat in cui vive, mentre l’uomo, che si rizza in piedi, destina i suoi arti inferiori a muoversi secondo la sua volontà e quelli superiori a fare, a  dare forma alle cose a guarire o a ferire, a creare costruendo o a distruggere…..

L’uomo che durante tutta la vita ha amato e usato le mani per amore e con amore, in vecchiaia possiede una mano benedicente!

Il gesto delle mani, specie per bambini che fanno Euritmia, suonano uno strumento musicale, fanno molto disegno di forme, diventa il gesto dell’uomo! L’uomo che si esprime ed esprime, l’uomo sociale che lavora per sé e per il mondo.

Queste le linee principali del primo giorno di scuola e della prima lezione.

 Ovviamente qui sono tracciati solo gli elementi portanti e tutto il resto che pur fa la ricchezza di questo insegnamento si comprende che qui non può esser trattato.

La lezione della linea retta verticale e della linea curva è la prima lezione del corso intero di studi Waldorf, ma non è necessario che sia svolta il primo giorno di scuola.

 

 Riporto qui il passo di Steiner relativo all’argomento che ho appena trattato.

Si può dire al bambino: - Ora traccio questo segno ( linea retta e dopo lo stesso con la linea curva): adopera la tua mano e fallo anche tu. -  Si può dunque far tracciare la linea al bambino il più lentamente possibile, e la cosa andrà di per sé lentamente se si chiamano alla lavagna i bambini per una volta e si fanno poi tornare ai loro posti. E’ della massima importanza che l’insegnamento venga ben assimilato. Poi si può dire ai bambini: - Ora faccio quest’altro segno, fatelo anche voi con le vostre mani. – E ogni bambino lo fa. Terminato questo si dice: - Questa è una linea retta, l’altra è una linea curva; dunque voi, con le vostre mani, avete tracciato una linea retta e una linea curva. – Si aiutano i bambini più maldestri, e si bada che ogni bambino esegua fin dal principio il suo disegno con una certa perfezione.”.

(“Arte dell’educazione II, Didattica, conferenza del 25 agosto 1919, Stoccarda).

 © rosalia de vecchi

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